OGGI DOMENICA XXIV DEL TEMPO ORDINARIO – Esodo 32, 7-11. 13-14; Salmo 51; Timoteo 1, 12-17; Luca 15, 1-3 .
Poche parabole hanno ricevuto tanti titoli come quella narrata nel vangelo di oggi. Il nome più comune è Il figlio prodigo, ossia sprecone, derivato dal latino; oppure Il figlio traviato, o anche ritrovato. Altri preferiscono: Il Padre misericordioso. Papa Benedetto XVI nel suo libro Gesù di Nazaret, ne dà uno descrittivo: La parabola dei due fratelli (il figlio prodigo e il figlio rimasto a casa) e il padre buono. Questa varietà esprime la complessità della parabola e, perciò, la difficoltà di concentrare in un titolo tanta saggezza evangelica.
Non pretendo dar altro nome, ma piuttosto tentare un’interpretazione ecologica. Il figlio più giovane rappresenta la modernità, che vuole uscire dalla minorità. E’ quel Sàpere àude del filosofo Imanuel Kant, che esprime la novità e l’audacia razionalista a tutti i costi. Si tratta dell’atteggiamento di chi si mette al di sopra della Vita, volendo dominarla, invece di mettersi a servizio della Vita stessa per svilupparla armoniosamente nel rispetto della totalità.
Chiedendo la parte di eredità che gli spetta, il figlio ribelle cerca la totale autonomia, sostenuta però dai soldi del papà. Ora può andarsene lontano, spendendo i beni paterni e le proprie energie come gli pare e piace: sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. E’ il consumismo a tutti i livelli! Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Perfino la natura si ribella contro gli spreconi dei beni propri ed altrui.
L’indigenza è un’esperienza nuova per il figlio di papà, che, a questo punto, è spinto dalla necessità a diventare servo a pascolare i porci. Ora si trova nel massimo degrado tra animali impuri, senza nulla per mangiare, neppure le carrube di cui si nutrivano i porci. Il mondo del giovane spavaldo è un porcile, senza dignità ambientale e umana. L’immondizia lo circonda, conseguenza del disprezzo dei doni, dello sfruttamento della natura e della pretesa autonomia contro la legge della Vita. Chi produce spazzatura, un poco alla volta diventa lui stesso spazzatura. A forza di sprecare, lo sprecone butta via se stesso e diventa “usa e getta”.
Quando il mondo gli cadde addosso, il giovanotto ritornò in sé: comincia il cambiamento. Siamo causa dei nostri mali e delle nostre disgrazie? Occorre proprio toccare il fondo in un porcile per capire? Non è per amore al Padre, né per rispetto alla natura, ma per interesse, per salire dalla morte e dal suicidio che il figlio pensa di tornare a casa. Malgrado tutto, questa decisione interessata è un attaccamento alla vita.
L’atteggiamento del papà è creativo: non guarda il passato (gli corse incontro), ma vuole vita nuova (il vestito più bello), con dignità (i sandali ai piedi) e onore (anello al dito) per mangiare (il vitello grasso) e insieme fare festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. Il Padre misericordioso prepara la festa per tutti i suoi figli e dà a tutti le risorse necessarie con bellezza e abbondanza. Ma guai a chi spreca e accumula solo per sé!
Lo sviluppo sostenibile deve diventare la regola universale, in cui le culture tecnologiche si armonizzano con le esperienze secolari di tanti popoli indigeni, che hanno preservato anche per gli altri fratelli i doni del Padre comune. Coniugando sviluppo con sostenibilità è ancora possibile sperare nel futuro per costruire la nuova storia. In questo scambio reciproco di saggezza e scienza, eliminando ogni avidità e avarizia, ogni dominazione ed esclusione, possiamo avviarci per realizzare quella civiltà dell’Amore, che papa Paolo VI indicava come il sogno percorribile da tutta l’umanità. Questo cammino si impone non a livello di lusso, ma di necessità assoluta, pena l’autodistruzione. Una necessità che ci renderà più umili e saggi, più semplici e fraterni, più belli – tutti belli – perché collaboreremo insieme ad un progetto condiviso di pace universale e ordine cosmico (cf Isaia 2, 2-5; 25, 6 -10; Apocalisse 21-22).
Don Domenico Salvador
L’umanità che tratta il mondo come un mondo da buttare, tratta anche se stessa come un’umanità da buttare.(G. Anders)